Che in provincia di Varese il consumo di suolo, nelle sue diverse declinazioni
funzionali, sia diventata una emergenza ambientale è riconosciuto anche dalle
istituzioni che la governano.
In questo
territorio il suolo antropizzato, cioè sottratto agli ambienti naturali e
seminaturali (corpi idrici, aree umide, boschi e aree agricole) tra il 1999 ed
il 2007 è passato dal 27,6% al 29,2% della superficie provinciale. Il terreno
coperto da aree residenziali, produttive ed infrastrutturali e da cantieri,
cave e discariche è aumentato del 1,6% rispetto alla superficie provinciale
totale e del 5,6% rispetto alla sua estensione nel 1999. All’origine
dell’avanzata delle aree antropizzate, che in otto anni ha riguardato una
superficie maggiore di quella del comune di Lozza dove vivono più di 1200
abitanti, non vi è solo lo sviluppo dei principali poli urbani della provincia,
Varese da una parte, e l’ormai unica conurbazione Gallarate-Busto-Tradate-Saronno
dall’altra. Il consumo di suolo è un fenomeno che non risparmia nemmeno quei
settori del territorio provinciale connotati da un più alto livello di
naturalità. La superficie antropizzata interna agli ambiti della rete ecologica
di primo livello (core area principale), che corrisponde al 28,5% della
superficie provinciale, è aumentata del 9,7%, un dato che pur essendo molto
piccolo rispetto al totale del consumo di suolo è significativamente maggiore
dell'incremento medio provinciale. Al di là dell’edificazione di qualche
piccolo insediamento residenziale o produttivo, il settore che ha dato il
maggiore contributo a questo incremento è quello delle attività estrattive,
delle discariche e dei cantieri. Dai dati presentati nell'ambito del workshop
sul consumo di suolo tenutosi presso la sede dell'amministrazione provinciale
il 28 marzo scorso (http://www.provincia.va.it/code/35402/Seminari-Workshop-Convegni), emerge
che all'interno di ambiti appartenenti alla rete ecologica di primo livello
674000 mq di terreni in maggioranza boschivi sono stati trasformati in attività
estrattive, discariche e cantieri. Questo significa che per ogni anno del
periodo preso in esame è stata consumata, solo per questo tipo di attività, una
superficie un po' più grande a quella di 8 campi da calcio. Il consumo di suolo
prodotto in particolare dalle attività estrattive è evidenziato dai dati
relativi ai comuni che le ospitano, nei quali l'incremento della superficie
antropizzata è maggiore di quello medio provinciale (è il caso, in particolare,
di Caravate e Ternate, comuni che ospitano attività estrattive che alimentano
due cementifici). Alla luce di questi dati, una più approfondita
valutazione dei fabbisogni estrattivi e un più incisivo ricorso alla partecipazione
delle comunità locali nei processi decisionali, strumento peraltro previsto
nell’iter della Valutazione Ambientale Strategica e mai utilizzato, dovrebbero
essere elementi fondativi della costruzione degli scenari sul quale si dovrebbe
basare il Piano Cave. Vi sono queste carenze della pianificazione provinciale
all’origine del conflitto sorto sulla cava di Cantello e che coinvolge, ormai
da molti mesi, le comunità e gli enti locali da una parte ed il
proprietario del sito dall’altra. La riapertura della cava Nidoli di Cantello,
prima inserita e poi stralciata dal Piano Cave su richiesta di un vasto
movimento di protesta, è un altro caso di intervento che andrebbe
ad incidere sulla rete ecologica di primo livello. In particolare l'avvio
di questa attività estrattiva andrebbe ad impattare sul nascituro Parco Locale
d'Interesse Sovraccomunale Valle della Bevera, un area fondamentale per la
connettività della rete ecologica. Un'altra cava che potrebbe riaprire la
propria attività, con finalità di recupero che però si configura come una massiccia
attività estrattiva, è ubicata nel cuore del Parco Regionale del Campo dei
Fiori, nelle immediate vicinanze della Riserva
naturale Martica - Chiusarella. Il progetto di recupero di questa
cava sta attraversando l’iter di Valutazione d’Impatto Ambientale senza nessun
coinvolgimento del pubblico, ed in particolare delle comunità locali che vivono
nei pressi dell’impianto. Forme di protesta contro la riapertura della cava
potrebbero sorgere anche per questo caso e fino a quel momento i cittadini non
saranno minimamente informati sugli effetti ambientali del progetto e sulle
ricadute che l’avvio dell’attività avrà sulla qualità della loro vita.
Che ci
sia bisogno di una diversa regolazione delle attività estrattive se ne accorta anche
la politica. Nelle scorse settimane tre proposte di legge di riforma
delle norme regionali sulla materia sono state presentate alla Commissione
Ambiente del Consiglio Regionale che sta lavorando al superamento della legge
vigente, molto carente proprio sul piano del coinvolgimento di quegli enti e comunità
locali direttamente interessati agli effetti delle attività estrattive. Vedremo se l’organo di governo della regione
sarà in grado di approvare una nuova legge che sia improntata, così come si auspica
nelle proposte in esame, ad un maggiore rigore nei criteri con i quali vengono
individuati i siti da bonificare, alla
incentivazione del recupero qualitativo delle cave dismesse, alla contrazione
del numero dei siti estrattivi regionali ed alla conseguente riduzione del consumo
di suolo.
La
Provincia di Varese nel frattempo potrebbe riflettere su certi suoi
atteggiamenti schizofrenici: da un lato ha avviato un progetto per rafforzare
la connettività della rete ecologica, dall'altro autorizza, attraverso il suo
Piano Cave, l'ampliamento di attività estrattive che ad essa sottraggono suolo.
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