venerdì 1 giugno 2012

Cave, proteste e consumo di suolo

Che in provincia di Varese  il consumo di suolo, nelle sue diverse declinazioni funzionali, sia diventata una emergenza ambientale è riconosciuto anche dalle istituzioni che la governano.
In questo territorio il suolo antropizzato, cioè sottratto agli ambienti naturali e seminaturali (corpi idrici, aree umide, boschi e aree agricole) tra il 1999 ed il 2007 è passato dal 27,6% al 29,2% della superficie provinciale. Il terreno coperto da aree residenziali, produttive ed infrastrutturali e da cantieri, cave e discariche è aumentato del 1,6% rispetto alla superficie provinciale totale e del 5,6% rispetto alla sua estensione nel 1999. All’origine dell’avanzata delle aree antropizzate, che in otto anni ha riguardato una superficie maggiore di quella del comune di Lozza dove vivono più di 1200 abitanti, non vi è solo lo sviluppo dei principali poli urbani della provincia, Varese da una parte, e l’ormai unica conurbazione Gallarate-Busto-Tradate-Saronno dall’altra. Il consumo di suolo è un fenomeno che non risparmia nemmeno quei settori del territorio provinciale connotati da un più alto livello di naturalità. La superficie antropizzata interna agli ambiti della rete ecologica di primo livello (core area principale), che corrisponde al 28,5% della superficie provinciale, è aumentata del 9,7%, un dato che pur essendo molto piccolo rispetto al totale del consumo di suolo è significativamente maggiore dell'incremento medio provinciale. Al di là dell’edificazione di qualche piccolo insediamento residenziale o produttivo, il settore che ha dato il maggiore contributo a questo incremento è quello delle attività estrattive, delle discariche e dei cantieri. Dai dati presentati nell'ambito del workshop sul consumo di suolo tenutosi presso la sede dell'amministrazione provinciale il 28 marzo scorso (http://www.provincia.va.it/code/35402/Seminari-Workshop-Convegni), emerge che all'interno di ambiti appartenenti alla rete ecologica di primo livello 674000 mq di terreni in maggioranza boschivi sono stati trasformati in attività estrattive, discariche e cantieri. Questo significa che per ogni anno del periodo preso in esame è stata consumata, solo per questo tipo di attività, una superficie un po' più grande a quella di 8 campi da calcio. Il consumo di suolo prodotto in particolare dalle attività estrattive è evidenziato dai dati relativi ai comuni che le ospitano, nei quali l'incremento della superficie antropizzata è maggiore di quello medio provinciale (è il caso, in particolare, di Caravate e Ternate, comuni che ospitano attività estrattive che alimentano due cementifici). Alla luce di questi dati, una più approfondita valutazione dei fabbisogni estrattivi e un più incisivo ricorso alla partecipazione delle comunità locali nei processi decisionali, strumento peraltro previsto nell’iter della Valutazione Ambientale Strategica e mai utilizzato, dovrebbero essere elementi fondativi della costruzione degli scenari sul quale si dovrebbe basare il Piano Cave. Vi sono queste carenze della pianificazione provinciale all’origine del conflitto sorto sulla cava di Cantello e che coinvolge, ormai da molti mesi, le comunità  e gli enti locali da una parte ed il proprietario del sito dall’altra. La riapertura della cava Nidoli di Cantello, prima inserita e poi stralciata dal Piano Cave su richiesta di un vasto movimento di protesta, è un altro caso di  intervento che andrebbe  ad incidere sulla rete ecologica di primo livello. In particolare l'avvio di questa attività estrattiva andrebbe ad impattare sul nascituro Parco Locale d'Interesse Sovraccomunale Valle della Bevera, un area fondamentale per la connettività della rete ecologica. Un'altra cava che potrebbe riaprire la propria attività, con finalità di recupero che però si configura come una massiccia attività estrattiva, è ubicata nel cuore del Parco Regionale del Campo dei Fiori, nelle immediate vicinanze della Riserva naturale Martica - Chiusarella. Il progetto di recupero di questa cava sta attraversando l’iter di Valutazione d’Impatto Ambientale senza nessun coinvolgimento del pubblico, ed in particolare delle comunità locali che vivono nei pressi dell’impianto. Forme di protesta contro la riapertura della cava potrebbero sorgere anche per questo caso e fino a quel momento i cittadini non saranno minimamente informati sugli effetti ambientali del progetto e sulle ricadute che l’avvio dell’attività avrà sulla qualità della loro vita.

Che ci sia bisogno di una diversa regolazione delle attività estrattive se ne accorta anche la politica. Nelle scorse settimane tre proposte di legge di riforma delle norme regionali sulla materia sono state presentate alla Commissione Ambiente del Consiglio Regionale che sta lavorando al superamento della legge vigente, molto carente proprio sul piano del coinvolgimento di quegli enti e comunità locali direttamente interessati agli effetti delle attività estrattive. Vedremo se l’organo di governo della regione sarà in grado di approvare una nuova legge che sia improntata, così come si auspica nelle proposte in esame, ad un maggiore rigore nei criteri con i quali vengono individuati i siti da bonificare, alla incentivazione del recupero qualitativo delle cave dismesse, alla contrazione del numero dei siti estrattivi regionali ed alla conseguente riduzione del consumo di suolo.
La Provincia di Varese nel frattempo potrebbe riflettere su certi suoi atteggiamenti schizofrenici: da un lato ha avviato un progetto per rafforzare la connettività della rete ecologica, dall'altro autorizza, attraverso il suo Piano Cave, l'ampliamento di attività estrattive che ad essa sottraggono suolo. 

domenica 20 maggio 2012

Piano, piano, piano! Storie di nuovi agricoltori tra natura e cultura.


Utilizzare un cavallo per portare dei tronchi a valle, lungo fronti scoscesi senza vie di accesso, non è certo un’idea nuova. La trazione animale e stata soppiantata dai trattori solo pochi  decenni fa e questa sostituzione ha implicato l’abbandono di una serie di pratiche, in campo agronomico e forestale, che si basavano sul più agile e leggero cavallo, asino o mulo piuttosto che sul pesante ed invasivo mezzo meccanico. Piano, piano, piano! http://vimeo.com/marcotessaro/cavallo è un bel documentario di Marco Tessaro che in circa mezz’ora ci racconta un esperimento di  reintroduzione del cavallo nella gestione forestale del Parco Regionale del Campo dei Fiori. Le ragioni di questo ritorno al passato non hanno nulla a che fare con la nostalgia. Il cavallo può realizzare interventi preclusi alla meccanizzazione, ha bassi costi di gestione e non compatta il terreno e consente che importanti aspetti naturalistici siano preservati. Il filmato racconta inoltre la storia di persone che hanno deciso, anche controcorrente, di far dipendere la loro esistenza dalla terra e da ciò che da essa si può ricavare. Sono agricoltori che durante l’inverno, come è sempre successo a coloro che vivono grazie ai cicli naturali, lavorano nel bosco per cavarne legna da opera e da ardere. La loro vicenda ci  fa riflettere sul rapporto plurimillenario tra gli esseri umani e gli animali, senza i quali non ci sarebbe l’agricoltura, invenzione forse femminile che è anche responsabile della nascita delle città. Qui sta il punto.  Piero è, in un certo modo, il protagonista del documentario: è prevalentemente lui che vediamo lavorare insieme alla cavalla ed in compagnia dei cani. Il suo racconto ci dice della ricerca di un rapporto senza filtri con la natura ed i suoi cicli. Piero è un “neoagricoltore” della parte sud della provincia di Varese che, incurante del fatto di trovarsi in piena Megalopoli Padana e per di più molto vicino al suo aeroporto intercontinentale, aveva deciso di fare agricoltura biologica. Nel 1999 però si è reso conto che gli effetti della Malpensa rendevano impossibile il suo lavoro, così ha lasciato la terra della sua famiglia  e, insieme ai suoi animali, si è messo a fare l’agricoltore itinerante.Il suo racconto ci dice della ricerca di un rapporto senza filtri con la natura ed i suoi cicli. In questo sua itinerario egli ha incontrato alcuni “nuovi agricoltori” come Massimo,  che da anni coltiva un pezzo di terra vicino alla città  per cavarne un reddito e per fare cultura della preservazione dei cicli naturali. Piero, Massimo e gli altri che vediamo nel documentario  o che ci sono venuti a presentare la loro esperienza nel corso del bel convegno organizzato dalla rassegna Di terra e di cielo, ci raccontano della possibilità concreta della gestione delle risorse naturali fatta all’insegna delle buone pratiche. Questo appunto era il titolo del convegno di sabato 19 maggio 2012 – Natura e buone prassi – organizzato presso il museo della cultura rurale prealpina di Brinzio (VA), che sul tema ha raccolto contributi culturali e tecnici e si è concluso con una dimostrazione di come un cavallo possa lavorare nel bosco. Mentre Andrea, boscaiolo della Val di Susa, completava la sua dimostrazione altri nuovi agricoltori raccontavano le loro esperienze  di ritorno alla trazione animale. Sono testimonianze che ci dicono dell’esistenza di una rete che non coltiva la nostalgia ma intende trovare soluzioni concrete ai molti problemi dell’agricoltura dipendente dai carburanti fossili. Nata oltre venti anni fa, oggi rintracciabile sul web (http://www.noieilcavallo.org), Noi e il cavallo è una associazione informale di agricoltori biologici e biodinamici che propone soluzioni sostenibili ai problemi energetici e pratici dell’agricoltura contemporanea. La trazione animale d’altra parte sostiene il 70% delle attività agricole e forestali ed è ancora prevalente  nei paesi meno sviluppati ed una sua pur parziale reintroduzione nelle nostre pratiche agronomiche contiene un aspetto culturale di riscoperta dei principi universali della  ruralità. E' una nuova agricoltura che tenta di ritornare alle origini, tra natura e cultura,  e che sa che il proprio lavoro non si esaurisce con la coltivazione della terra ma va nella direzione della sua conservazione. Non è un caso che molte di queste esperienze si collochino in ambiti periurbani, come se la loro ragione fosse innanzitutto il tentativo di arginare gli effetti dell’insostenibile ambiente urbano in continua crescita.

giovedì 10 maggio 2012

La provincia di Varese tra Regio Insubrica e Megalopoli Padana





La provincia di Varese vive una doppia identità: da una parte è collegata alla spina dorsale lacustre e montuosa della Regio Insubrica, la subregione transfrontaliera della quale fanno parte i territori dei laghi prealpini, e dall’altra alla Megalopoli Padana, il cui cuore, Milano, articola un sistema circolatorio che giunge fino al Canton Ticino.
Da un lato varese-land-of-tourism, la terra felice della quale parla la bellezza del paesaggio lacustre e prealpino, dall’altro il groviglio infrastrutturale di strade di ogni ordine e grado, ferrovie e poli per la logistica al servizio di decine di aree produttive, con al centro un aeroporto intercontinentale. Questa duplice rappresentazione di un territorio di circa 1200 chilometri quadrati dove vivono quasi 900.000 abitanti è, secondo noi, un fenomeno degno di nota. Per questa ragione abbiamo deciso di raccontarlo in un blog . Vi abbiamo messo e vi metteremo articoli sulle storie delle sue città e su quanto accade nel territorio, come si trasforma o come si trasformerà in virtù della gestione degli enti locali.

mercoledì 16 febbraio 2011

110 progetti per un piano che non c’è. Quale futuro per Varese?


di Michela Barzi


Dal 13 gennaio 2011, allo Spazio Museale di Villa Baragiola a Varese è possibile visitare l’esposizione dei progetti di diploma, edizione 2010, Trasformazioni architettoniche e urbane nella città di Varese, centro e periferia, promossa dall’Accademia di architettura di Mendrisio (Università della Svizzera italiana) in partnership con il comune di Varese. In mostra le proposte progettuali elaborate da 110 studenti, guidati da 13 docenti dell’accademia, per 7 aree della città.
Teatro, auditorium, gallerie espositive, negozi, un nuovo edificio per l’Università dell’Insubria, residenze, ridisegno degli spazi pubblici per l’area di Piazza Repubblica, unificazione delle stazioni, uffici, residenze, area per il mercato, parco urbano, nuovo hub per i trasporti pubblici nella grande area delle attuali stazioni. Inoltre il Lago di Varese, come risorsa turistico-ricettiva e nuove destinazioni per le ex industrie aeronautiche Aermacchi  (un campus sperimentale a servizio delle imprese, un museo per le industrie varesine, una scuola di design, un auditorium, residenze per studenti),l’ampliamento del cimitero di Belforte, un nuovo limite tra la città dei vivi e la città dei morti, una biblioteca e un edificio amministrativo comunale nell’area di Palazzo Estense, ma anche un centro per gli anziani, luoghi di ritrovo e di relax, spazi per la contemplazione e per lo studio. Infine il social housing, nuove tipologie edilizie residenziali e negozi nell’area di Piazzale Staffora.
Questi i contenuti delle 110 proposte che saranno raccolte in una pubblicazione che alla fine di febbraio sarà presentata nel corso di un dibattito pubblico al quale è invitata la cittadinanza.

Gli elaborati dei 110 studenti di Mendrisio sono pregevoli prove dell’attività dell’accademia, che opportunamente promuove la formazione dei futuri architetti partendo da casi concreti, ovvero aree bisognose di progetti sulle quali fondare le loro destinazioni future. La città di Varese, fornisce molti spunti di riflessioni a questo riguardo ed possibile affermare che le 7 aree individuate non sono nemmeno tutte quelle bisognose di progettazione. Se quindi questi 110 progetti saranno in grado di stimolare il dibattito e la partecipazione della cittadinanza circa il futuro di queste (ed altre) aree urbane, ciò può solo essere visto con favore.
Tuttavia stride fortemente con questa abbondante produzione “accademica” l’assenza di proposte da parte dello strumento “ordinario” deputato a definire gli scenari di trasformazione e di sviluppo della città, ovvero il Piano di Governo del Territorio. Che fine ha fatto il PGT di Varese? Anche se la Regione si sta apprestando a far slittare per l’ennesima volta il termine entro il quale i comuni lombardi devono adottare questo nuovo strumento di pianificazione urbanistica, c’è da chiedersi in quali meandri dell’amministrazione comunale si sia arenato il piano varesino.
In attesa di sapere che fine ha fatto il Piano di Governo del Territorio, afferma Legambiente,  Varese viene “sfogliata come un carciofo” da un’infornata di piani esecutivi che, presi ad uno ad uno possono cambiare in modo più che significativo la città. E’ il caso  la realizzazione di un parcheggio al servizio della stazione delle Ferrovie Nord di Casbeno, che dovrebbe essere realizzata attraverso  il solito scambio: una massiccia colata di cemento, afferma l’associazione ambientalista in un comunicato sottoscritto anche da Italia Nostra, con il quale ha dato l’allarme su questo progetto.
Le buone prove accademiche di Mendrisio rischiano quindi di coprire un’assenza grave e preoccupante dell’amministrazione comunale, che sta dimostrando poco interesse per la costruzione trasparente dello strumento con il quale governare gli sviluppi futuri della città.
http://www.notiziariodelleassociazioni.it/news/blog/2011/02/15/110-progetti-per-un-piano-che-non-ce-quale-futuro-per-varese/

giovedì 2 dicembre 2010

Il Piano di Governo del Territorio di Arcisate: le buone intenzioni e i soliti affari

di Michela Barzi


Arcisate è un comune della Valceresio, la valle che congiunge  la città di Varese con il lago di Lugano (Ceresio) e con il confine svizzero, che al 1.1.2010 aveva 9933 abitanti. Nel 2000 gli abitanti erano 9233; l’incremento di popolazione è stato quindi di 700 unità, pari al 7,5%, dato lievemente inferiore all’incremento medio provinciale del periodo che è del 7,9%. Ha una superficie territoriale di 12,16 kmq ed una densità demografica di 816 abitanti per kmq, superiore a quella media degli altri comuni della Valceresio, che è di 628 abitanti per kmq.
Insieme ad Induno Olona, Arcisate costituisce il punto di contatto tra l’area urbana di Varese e il sistema insediativo della valle di cui è parte, aspetto che spiega la maggiore densità demografica.
Il Documento di Piano del Piano di Governo del Territorio, ovvero il documento con il quale s’indirizzano le scelte insediative per i successivi 5 anni, individua questi obiettivi strategici:
  1. tutela e riqualificazione del patrimonio naturale del territorio;
  2. inversione di tendenza rispetto alla dispersione edilizia e all’impoverimento delle tipologie edilizie, risultato dell’adattamento alle logiche fondiarie ed immobiliari;
  3. riqualificazione dell’ambiente urbano “dall’interno”;
  4. attribuire alle aree degradate o dismesse all’ambito urbano il compito di esprimere una forte polarizzazione del territorio;
  5. tutelare le concatenazioni di aree a verde esistenti in ambito urbano;
  6. completamento del quadro dei servizi e la tutela della naturalità.
L’assunzione di questi obiettivi a fondamento delle politiche di governo del territorio ha come effetto l’adozione di azioni significative che, nel loro insieme, possono determinare le seguenti condizioni di fondo:
- arresto della crescita urbana incondizionata, e quindi del consumo di suolo vergine sul quale si basano le valenze del paesaggio locale, a meno delle ponderate quote necessarie per la riqualificazione urbana;
- miglioramento dell’assetto infrastrutturale stradale parallelamente al recupero della qualità ambientale complessiva.
Tuttavia, dopo l’enunciazione di questi presupposti di politica territoriale, le conseguenti azioni strategiche di governo potranno concretamente essere tradotte in complessivi 74844 mq di superficie lorda di pavimento, dei quali 26712 mq per la residenza, 16940 mq per le attività produttive, 28642 mq per il terziario (cioè attività commerciali e direzionali) e 2549 mq per i servizi.
Le previsioni attuative per la residenza configurano un possibile incremento di 1288 abitanti in 5 anni, ai quali potrebbero aggiungersi altri 370-400 abitanti teoricamente insediabili “generati” da politiche d’incentivo al recupero del patrimonio edilizio residenziale previste dal Piano delle Regole, cioè dal documento del PGT che disciplina le trasformazioni dell’edificato consolidato.
Queste scelte insediative configurerebbero un incremento demografico che oscillerebbe tra il 13 e il 17% in 5 anni rispetto al 2010, a fronte di un incremento demografico reale che negli ultimi 10 anni è stato del 7,5%. Degli 8 ambiti di trasformazione urbanistica, 2  riguardano scelte insediative che andrebbero a realizzare 19235 mq di superficie lorda di pavimento in aree non urbanizzate, che genererebbero un consumo di suolo vergine pari a 147.800 mq, ovvero quasi 15 ettari di terreno agricolo, non intercluso nell’edificato esistente, che potrebbe essere urbanizzato, anche se 94300 mq saranno mantenuti a verde urbano (che deve comunque essere considerato terreno urbanizzato).
Vi sono poi altri 6 ettari di terreno libero da edificazione, e in parte occupato da attività agricole, che saranno urbanizzate poichè, dichiara il Documento di Piano, sono comprese in ambito urbano. Su questi terreni potranno essere edificati 17720 mq di superficie lorda di pavimento per la residenza, ai quali si devono aggiungere 8992 mq da realizzarsi in ambiti già del tutto o in parte urbanizzati. Complessivamente l’urbanizzazione delle cosiddette aree libere all’interno degli ambiti urbani e di aree scarsamente edificate riguarda il 21,9% del totale delle aree oggetto delle Documento di Piano. Di queste, 3 ambiti di trasformazione urbanistica riguardano interventi di recupero ambientale ed edilizi su 123.800 mq di superficie, pari al 35,6% della superficie totale degli 8 ambiti. Il restante 42,5% della superficie degli ambiti di trasformazione urbanistica riguarda l’urbanizzazione di suolo agricolo, aspetto che risulta in contrasto con l’obiettivo di arrestare il consumo di suolo vergine assunto dal Documento di Piano.
Di fatto i due terzi degli interventi individuati negli 8 ambiti di trasformazione urbanistica riguardano la sostituzione di suolo coperto da vegetazione con terreni per metà edificati e per metà destinati a verde, anche se non è dato sapere in quale misura questo verde sarà pubblico.
In sostanza, dietro le buone intenzioni il Documento di Piano del PGT di Arcisate nasconde i soliti affari, che si traducono in circa 570 nuove abitazioni, delle quali circa 170 da realizzarsi in ambiti da urbanizzare, circa 90  in ambiti parzialmente urbanizzati o in aree dismesse e circa 300 in aree già urbanizzate trasformabili. Sulle aree non urbanizzate o parzialmente urbanizzate si riverseranno 66432 metri cubi di cemento che verrà adibito alla residenza di 442 nuovi abitanti: più della metà dell’incremento demografico degli ultimi 10 anni potrebbe prodursi nei prossimi 5 anni e solo su terreni inedificati o quasi. A ciò si devono aggiungere i 20535 mq di superficie lorda di pavimento che, sempre su questi terren,i ospiteranno un nuovo insediamento produttivo e spazi per il terziario e i servizi. Nei prossimi 5 anni il 4% della superficie territoriale comunale potrebbe essere oggetto di interventi che avranno come esito l’urbanizzazione di nuove aree per il 2% della superficie territoriale comunale. Purtroppo da nessuna, parte ne’ nel Documento di Piano ne’ nel Rapporto Ambientale della Valutazione Ambientale Strategica, peraltro redatto dagli stessi progettisti del PGT, si menziona l’entità della superficie urbanizzata attuale, la quale può essere tuttavia stimata, sulla base delle caratteristiche insediative e demografiche del comune, in un massimo del 20% della superficie territoriale. Le trasformazioni attuabili attraverso le previsioni del Documento di Piano potrebbero generare quindi un incremento della superficie urbanizzata del 6%, considerando i suoli ora agricoli, e del 9% considerando anche le aree interne ad ambiti urbane e parzialmente edificate. Una crescita assai considerevole che male si combina con le enunciazioni  virtuose contenute nel Documento di Piano.

Il campetto di viale Valganna: quando la partecipazione dei cittadini salva il verde pubblico

di Michela Barzi


Il quartiere sorto attorno al viale Valganna era un tempo la periferia operaia della città  ed ospitava anche alcune fabbriche, come quella del cioccolato Lindt, al posto della quale sta sorgendo un imponente complesso edilizio. La natura popolare del quartiere ha favorito l’insediamento di tre complessi di edilizia economica popolare nella parte più settentrionale del viale, la più prossima agli insediamenti industriali che hanno storicamente contribuito anche alla trasformazione del corso dell’Olona. Si tratta di interventi maturati nell’ambito della stagione avviata dal Piano Fanfani prima e poi dalle leggi 167 del ’62 e 865 del ’71, in cui l’iniziativa pubblica in campo residenziale si prefiggeva di rispondere al crescente bisogno di alloggi a buon mercato espresso dall’imponente flusso migratorio dalle regioni del Sud. Non si tratta di massicci insediamenti di edilizia economico-popolare, grandi abbastanza da qualificarsi come quartieri veri e propri, come succederà poi con la realizzazione dei quartieri San Fermo e Bustecche, destinati a subire la sorte dei ghetti urbani in cui si concentreranno anche emarginazione sociale e microcriminalità. Sono piuttosto condomini di edilizia popolare inseriti in un tessuto edilizio misto, a prevalenza residenziale, con una connotazione sociale storicamente segnata dalla massiccia presenza industriale che ha fatto di Varese una delle città più ricche d’Italia. La natura popolare del Viale Valganna è rimasta nel tempo, malgrado le profonde trasformazione della struttura produttiva della città segnata da una pressoché totale deindustrializzazione e dalla prevalenza del terziario. Gli immigrati dei paesi del Sud del Mondo hanno poi preso il posto di quelli del Sud d’Italia. Questo settore della città è fortemente multietnico, non solo per quanto riguarda i residenti ma anche gli esercenti, come testimoniano i bar ed i negozi aperti in questi anni. Questo fenomeno riguarda ovviamente anche gli abitanti dei complessi di edilizia popolare, le cui diversità linguistiche e nazionali s’incontrano nell’area verde posta proprio nel mezzo del complesso più grande. Quest’area, di oltre 4000 mq,  ospita un campetto da calcio ed uno spazio attrezzato per il gioco dei bambini ed è frequentata da decine e decine di giocatori, residenti nel quartiere e non, che ogni giorno si trovano per formare squadre da 5 o 7 componenti, da ragazzini più grandi che insegnano ai più piccoli a giocare a calcio e da mamme con bambini. Il tutto si svolge in uno straordinario miscuglio di lingue, di colori della pelle, di tratti somatici e di modi di vestire. Si tratta di un caso, a dire il vero non frequentissimo negli insediamenti e edilizia economica popolare,  in cui uno spazio verde ha favorito l’integrazione sociale e non la marginalità e la piccola criminalità. Su questo campetto spesso la domenica (anche d’inverno, neve permettendo) si svolgono tornei  di squadre che si formano sulla base dell’appartenenza di quartiere o di una stessa nazionalità o lingua. Queste squadre giocano senza arbitro e si confrontano pacificamente  offrendo uno spettacolo seguito da decine di persone che si dispongono ai lati del campo per tifare. Purtroppo l’amministrazione cittadina non ha mai provveduto a destinare l’area verde alla funzione che gli è propria , quella del gioco e dello sport, e il piano regolatore vigente la considera un’area di pertinenza dell’insediamento residenziale considerato un ambito privo di strutturazione urbana. Su quest’area si può quindi edificare, cosa che ha spinto la Giunta ad inserirla nel piano delle alienazioni del Comune di Varese; cifra richiesta 800.000 euro. Se gli abitanti del quartiere non si fossero mobilitati in massa, raccogliendo firme, scrivendo ai giornali, apponendo striscioni sulle case, invitando al confronto gli amministratori cittadini per rivendicare il loro diritto di usufruire dell’area verde, alla fine dello scorso settembre il campo da calcio e i giochi per i bambini avrebbero potuto non essere più di proprietà pubblica ma acquisiti da qualche operatore immobiliare. La zona di viale Valganna, dal punto di vista del mercato immobiliare, è considerata semiperiferica, cosa giustificata dalla sua non eccessiva distanza dal centro cittadino e dalla buona dotazione di servizi che la caratterizza. Le alienazioni di proprietà comunali sono state giustificate dall’amministrazione guidata dal sindaco Attilio Fontana con la necessità di far cassa a seguito degli insostenibili tagli imposti dal governo agli enti locali, e in particolare ai comuni a seguito dell’eliminazione dell’ICI sulle prime case. Gli abitanti del quartiere hanno chiesto all’amministrazione comunale di stralciare l’area verde dal piano delle alienazioni, di modificare la destinazione urbanistica dell’area, facendola diventare verde pubblico e non terreno edificabile, e di impegnarsi affinchè la natura pubblica dell’area sia riconfermata dal redigendo Piano di Governo del Territorio. Per ora l’area non è stata venduta ma gli abitanti del quartiere aspettano ancora che le loro richieste vengano formalmente e sostanzialmente accolte, avendo tuttavia dimostrato che la partecipazione dei cittadini in difesa del patrimonio pubblico può condizionare l’azione degli amministratori pubblici.

Il Piano di Governo del Territorio di Carnago: riqualificazione versus consumo di suolo


di Michela Barzi

Il Comune di Carnago è situato a metà strada tra Varese, Gallarate, Busto Arsizio e Tradate, ha una superficie di 6,22 kmq ed una popolazione che ad inizio del 2010 era di 6386 abitanti. Ha una densità demografica di 1026 abitanti per kmq, in linea con la densità media di questo settore della provincia di Varese. L’incremento demografico tuttavia è superiore al dato medio provinciale, che è del 7,9% tra il 2001 e il 2010, mentre a Carnago è del 13,24%.
Il territorio comunale è caratterizzato da una struttura insediativa con una forte vocazione residenziale dovuta alla collocazione baricentrica tra i maggiori centri urbani della provincia. Da questa caratteristica discende un diffuso sviluppo degli insediamenti residenziali a bassa densità volumetrica, una scarsa ed estremamente dispersa presenza d’insediamenti produttivi di piccole dimensioni, una bassa presenza di attività commerciali e di servizio e una buona dotazione di servizi alla residenza.
La superficie destinata all’agricoltura è solo il 5% della superficie comunale e quest’ultima è per metà è tutelata dal Parco Locale d’Interesse Sovraccomunale Rile Tenore Olona.
Il vigente Piano Regolatore Generale prevede un’espansione del 3,2% della superficie urbanizzata per nuovi insediamenti residenziali; un’espansione del 1,2% della superficie urbanizzata per nuovi insediamenti produttivi e, per conseguenza, una crescita complessiva della superficie urbanizzata dal 32,7% al 37,1%. La capacità insediativa teorica del piano, cioè la possibilità d’insediare nuovi abitanti in seguito alle previsioni di nuovi insediamenti residenziali, definisce un incremento di popolazione residente del 33% rispetto al  2001, un dato  molto elevato e decisamente non in linea con l’andamento demografico del comune e della provincia di Varese.
Recentemente l’amministrazione comunale ha avviato il processo di redazione del Piano di Governo del Territorio dandosi l’obiettivo il contenimento della capacità insediativa teorica ai 7500 abitanti previsti dal PRG vigente, ma non ancora effettivamente insediati, previsione che configura comunque un incremento del 17,4% della popolazione residente al 2010. Si tratta quindi di delineare uno scenario nel quale i nuovi abitanti da insediare nei prossimi 5 anni (periodo di vigenza del Documento di Piano del PGT che è lo strumento con il quale si definiscono le scelte insediative) saranno circa 1100, la meta dei quali però, s’insedieranno nel centro storico che sarà oggetto di una grossa operazione di riqualificazione, grazie al recupero di un’area dismessa di proprietà pubblica.  Dei restanti circa 550 nuovi abitanti teoricamente insediabili, 300 circa troveranno alloggio negli insediamenti residenziali in fase di costruzione e frutto delle scelte del PRG vigente, e circa 250 in due nuovi comparti di espansione residenziale poste in aree di frangia dell’edificato consolidato. Con la nuova proposta di piano la superficie urbanizzata dovrebbe quindi aumentare dell’1,3%.
Il piano prevede anche un nuovo insediamento per attività produttive, finalizzato alla delocalizzazione delle attività attualmente insediate in ambiti che confliggono con la residenza in termini di impatti ambientali e sulla mobilità. Viene quindi rafforzata la vocazione residenziale del territorio comunale e depotenziata la presenza di insediamenti produttivi, anche in relazione allo svantaggio infrastrutturale nel quale si trova Carnago. Tuttavia nel territorio comunale ci sono circa 100 unità abitative invendute.
Le scelte di piano che l’amministrazione comunale di Carnago sta definendo attraverso la redazione del PGT hanno, e non solo per questa amministrazione comunale,  una forte relazione con le difficoltà poste dal rispetto del patto di stabilità. La diminuzione dei trasferimenti dallo Stato, frutto di una crisi finanziaria che i comuni non hanno contribuito a creare, costringe questi ultimi a ricorrere sempre di più alla alienazione del proprio patrimonio immobiliare ed alla necessità di dover consumare suolo per fare cassa (peraltro una tantum) con gli oneri di urbanizzazione (con i quali di possono pagare fino alla metà delle spese correnti del comune). Le scelte di piano sono quindi sempre di più influenzate alle difficoltà economiche dei comuni, che con il taglio dell’ICI su tutte le prime case sono ormai privati dell’autonomia finanziaria.
Oggi una delle maggiori voci di entrata per le finanze comunali, insieme alle alienazioni ed alle contravvenzioni del codice della strada, è il consumo di suolo agricolo, oggi sempre di più  per l’insediamento di capannoni industriali, che spesso restano inutilizzati ma che generano un importante gettito di ICI. Anche in presenza di queste difficoltà, e in controtendenza rispetto alle dinamiche insediative comunemente riscontrabili nei territori della nostra regione e della nostra provincia, a Carnago sembra stia prevalendo una scelta di governo del territorio tesa a valorizzare il patrimonio esistente e a porre un freno al tasso di crescita della superficie urbanizzata che ha fin qui caratterizzato la storia degli strumenti di pianificazione urbanistica di questo comune e di moltissimi altri comuni lombardi.