domenica 20 maggio 2012

Piano, piano, piano! Storie di nuovi agricoltori tra natura e cultura.


Utilizzare un cavallo per portare dei tronchi a valle, lungo fronti scoscesi senza vie di accesso, non è certo un’idea nuova. La trazione animale e stata soppiantata dai trattori solo pochi  decenni fa e questa sostituzione ha implicato l’abbandono di una serie di pratiche, in campo agronomico e forestale, che si basavano sul più agile e leggero cavallo, asino o mulo piuttosto che sul pesante ed invasivo mezzo meccanico. Piano, piano, piano! http://vimeo.com/marcotessaro/cavallo è un bel documentario di Marco Tessaro che in circa mezz’ora ci racconta un esperimento di  reintroduzione del cavallo nella gestione forestale del Parco Regionale del Campo dei Fiori. Le ragioni di questo ritorno al passato non hanno nulla a che fare con la nostalgia. Il cavallo può realizzare interventi preclusi alla meccanizzazione, ha bassi costi di gestione e non compatta il terreno e consente che importanti aspetti naturalistici siano preservati. Il filmato racconta inoltre la storia di persone che hanno deciso, anche controcorrente, di far dipendere la loro esistenza dalla terra e da ciò che da essa si può ricavare. Sono agricoltori che durante l’inverno, come è sempre successo a coloro che vivono grazie ai cicli naturali, lavorano nel bosco per cavarne legna da opera e da ardere. La loro vicenda ci  fa riflettere sul rapporto plurimillenario tra gli esseri umani e gli animali, senza i quali non ci sarebbe l’agricoltura, invenzione forse femminile che è anche responsabile della nascita delle città. Qui sta il punto.  Piero è, in un certo modo, il protagonista del documentario: è prevalentemente lui che vediamo lavorare insieme alla cavalla ed in compagnia dei cani. Il suo racconto ci dice della ricerca di un rapporto senza filtri con la natura ed i suoi cicli. Piero è un “neoagricoltore” della parte sud della provincia di Varese che, incurante del fatto di trovarsi in piena Megalopoli Padana e per di più molto vicino al suo aeroporto intercontinentale, aveva deciso di fare agricoltura biologica. Nel 1999 però si è reso conto che gli effetti della Malpensa rendevano impossibile il suo lavoro, così ha lasciato la terra della sua famiglia  e, insieme ai suoi animali, si è messo a fare l’agricoltore itinerante.Il suo racconto ci dice della ricerca di un rapporto senza filtri con la natura ed i suoi cicli. In questo sua itinerario egli ha incontrato alcuni “nuovi agricoltori” come Massimo,  che da anni coltiva un pezzo di terra vicino alla città  per cavarne un reddito e per fare cultura della preservazione dei cicli naturali. Piero, Massimo e gli altri che vediamo nel documentario  o che ci sono venuti a presentare la loro esperienza nel corso del bel convegno organizzato dalla rassegna Di terra e di cielo, ci raccontano della possibilità concreta della gestione delle risorse naturali fatta all’insegna delle buone pratiche. Questo appunto era il titolo del convegno di sabato 19 maggio 2012 – Natura e buone prassi – organizzato presso il museo della cultura rurale prealpina di Brinzio (VA), che sul tema ha raccolto contributi culturali e tecnici e si è concluso con una dimostrazione di come un cavallo possa lavorare nel bosco. Mentre Andrea, boscaiolo della Val di Susa, completava la sua dimostrazione altri nuovi agricoltori raccontavano le loro esperienze  di ritorno alla trazione animale. Sono testimonianze che ci dicono dell’esistenza di una rete che non coltiva la nostalgia ma intende trovare soluzioni concrete ai molti problemi dell’agricoltura dipendente dai carburanti fossili. Nata oltre venti anni fa, oggi rintracciabile sul web (http://www.noieilcavallo.org), Noi e il cavallo è una associazione informale di agricoltori biologici e biodinamici che propone soluzioni sostenibili ai problemi energetici e pratici dell’agricoltura contemporanea. La trazione animale d’altra parte sostiene il 70% delle attività agricole e forestali ed è ancora prevalente  nei paesi meno sviluppati ed una sua pur parziale reintroduzione nelle nostre pratiche agronomiche contiene un aspetto culturale di riscoperta dei principi universali della  ruralità. E' una nuova agricoltura che tenta di ritornare alle origini, tra natura e cultura,  e che sa che il proprio lavoro non si esaurisce con la coltivazione della terra ma va nella direzione della sua conservazione. Non è un caso che molte di queste esperienze si collochino in ambiti periurbani, come se la loro ragione fosse innanzitutto il tentativo di arginare gli effetti dell’insostenibile ambiente urbano in continua crescita.

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