storie di città


Edilizia popolare in provincia di Varese.  Le origini: 1919-1929.


 di Michela Barzi

Questo articolo è tratto da:
M. Barzi, Un "Discorso urbano". Quarant'anni di edilizia popolare in provincia di Varese, in  M. Barzi, E. R. Laforgia, Il sogno di una casa, Varese, Arterigere, 2011. Volume celebrativo dei 40 anni della cooperativa edilizia Nuova Urbanistica.


L’Istituto Autonomo Case Popolari ed Economiche di Varese venne fondato nel 1919 per volere di un gruppo di imprenditori locali. Essi decisero di finanziarne la nascita per dare avvio alla realizzazione di due insediamenti posti in settori della città in cui molto forte era la presenza delle industrie. Si tratta del quartiere Belfiore e del quartiere Vittoria, uno nei pressi di Biumo Inferiore e l’altro di Masnago, due ambiti periferici della città che a quel tempo contava circa 30.000 abitanti e che aveva conosciuto una notevole crescita dovuta alla presenza di importanti attività industriali. Quando essi furono inaugurati nel 1923, presente il re Vittorio Emanuele III, il dibattito sugli aspetti tipologici ed insediativi dell’edilizia popolare risentiva ancora di quelle suggestioni discendenti dalle sperimentazioni sul tema della città giardino, attuate in Italia e, in generale, in Europa. Del 1909 è la costruzione, ad opera dell’Unione Cooperative, del villaggio giardino “Milanino” sorto a pochi chilometri dal capoluogo nel comune di Cusano. Subito dopo la prima guerra mondiale poi una serie di villaggi giardino, trai quali spicca quello della Società edificatrice “La Postelegrafonica”, erano stati costruiti a Milano, segno che il movimento per la città giardino  e le sue sperimentazioni di Letchwort  e Welwyn avevano prodotto grande fermento progettuale anche nella cultura tecnica lombarda. Protagonista di questa stagione è l’architetto Giovanni Broglio, prima progettista dell’ufficio tecnico della Società Umanitaria, poi dell’Istituto Case Popolari di Milano, fondato nel 1903 come azienda municipale contestualmente alla municipalizzazione di altri servizi urbani quali gas, elettricità, acqua, macello e fognatura.

I due quartieri varesini sono composti da  villini o palazzine di due/tre piani fuori terra, ognuno contenente alloggi da 2, 3 o 4 locali, che vennero prioritariamente assegnati ai dipendenti delle società finanziatrici la nascita dell’Istituto. Il modello insediativo e tipologico utilizzato dal progettista ingegner Edoardo Flumiani, già dirigente dell’ufficio tecnico “Progetti e Lavori” del Comune di Varese e capo dell’ufficio tecnico dell’Istituto  Autonomo Case Popolari ed Economiche di Varese dalla fondazione, presenta molte attinenze con le realizzazioni dell’Istituto Case Popolari di Milano, avviate a partire dal 1908- 1909 con la costruzione del quartiere Mac Mahon, nelle quali si fa progressivamente strada l’idea di città giardino grazie, soprattutto, all’opera progettuale di Giovanni Broglio. D’altra parte le suggestioni della città giardino erano state utilizzate in primo luogo per sostenere la battaglia per la municipalizzazione delle abitazioni. Alessandro Schiavi, direttore dell’ICPM fino al 1924, nel 1911 aveva pubblicato un libro dal significativo titolo Le case a buon mercato e la città giardino, nel quale la scelta del “sobborgo giardino” veniva proposta come alternativa alla città della speculazione rappresentata dalle caserme d’affitto realizzate dall’iniziativa privata.

Il completamento del quartiere Belfiore, secondo il tema della città giardino,  avvenne con la realizzazione, nel 1929, di 4 palazzine per il ceto medio, con cucina separata dal soggiorno e finiture di maggior pregio. La loro costruzione  segna, anche dal punto di vista stilistico, il passaggio dell’Istituto verso iniziative edilizie in favore dei ceti sociali meno bisognosi dal punto di vista economico e più inclini a sostenere il regime fascista, aspetto ancora più evidente nel complesso edilizio realizzato nello stesso anno in via Tamagno per conto dell’Istituto Nazionale Case Impiegati dello Stato. Qui la collocazione pienamente urbana dell’area sembra giustificare il linguaggio monumentale utilizzato dall’ingegner Flumiani per questa prova interessante di architettura neobarocca.

Restando nel territorio che a partire dal 1927 diventerà la provincia di Varese, a Busto Arsizio sempre nel 1919 nasceva l’Istituto Autonomo Bustese per le Case Popolari, continuazione dell’esperienza, iniziata nel 1904, della Società Anonima Cooperativa Bustese per le Case Popolari che, al momento dello scioglimento nell’Istituto, aveva realizzato 217 alloggi e 6 negozi per un totale di 909 vani. Il primo insediamento costruito dall’Istituto, nel 1924, fu destinato agli impiegati ed ubicato tra le vie Cellini, Costa, D’Azeglio e Lombardia. L’eterogeneità delle tipologie edilizie impiegate, che vanno dai villini bifamigliari, alle  case a schiera disposte all’interno del lotto e all’edificio d’angolo tra le vie Cellini e Lombardia, sembra voglia fare indistintamente riferimento, anche in questo caso, alle realizzazioni dell’Istituto Case Popolari di Milano, le quali avevano evidentemente fatto scuola durante i primi due decenni del ‘900. A Tradate, sempre nel 1924,  l’Istituto Autonomo Tradatese per le Case Popolari utilizzava sempre la soluzione d’angolo per costruire un edificio di tre piani, contenente 48 alloggi, che risente anche in questo caso delle soluzioni architettoniche sperimentate nei quartieri milanesi.

Fino ai primi anni venti del Novecento il modello insediativo del villaggio giardino ebbe un notevole impulso proprio grazie all’opera di Schiavi nell’ICPM. Con l’avvento del Fascismo, tuttavia, esso declinò rapidamente  negli schemi tipologici utilizzati per le realizzazioni dell’Istituto milanese. I quartieri popolari dell’ICPM restano comunque, anche in questo periodo,  esempi di realizzazioni di edilizia popolare al passo con la cultura europea, come dimostra la partecipazione del suo direttore tecnico, Giovanni Broglio, ai  Congressi internazionali dell’abitazione e dei piani regolatori. Durante il XII Congresso del 1929 i congressisti si recarono a Milano a visitare i quartieri costruiti dall’istituto e, addirittura a Varese. In quell'anno gli unici due quartieri di edilizia popolare costruiti in città erano il quartiere Belfiore ed il quartiere Vittoria,  il cui progettista era peraltro stato l'autore, nel 1912, di una proposta di costituzione di una società municipalizzata di servizi urbani che, oltre a gas, elettricità, acqua, macello e fognatura,  avrebbe dovuto occuparsi di realizzare case popolari come nel caso dell'ICPM.

Il primo decennio di attività degli istituti per le case popolari attivi nel territorio della provincia di Varese è quindi contraddistinto da sperimentazione tipologiche che cercano di adattare alle necessità locali le soluzioni adottate nei quartieri milanesi dell’ICPM . Nel caso dei quartieri Belfiore e Vittoria di Varese, l'applicazione dello schema del villaggio giardino ed il linguaggio architettonico adottato sono riusciti a coniugare efficacemente la necessità di sviluppo di  una città che, ad un certo punto della propria storia, ha deciso di identificarsi, impropriamente, con l'idea di città giardino.


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